mercoledì 25 ottobre 2023

La tua mamma e il tuo bicchiere infranto

Quella volta che ho infranto il tuo bicchiere di Valladolid, il ricordo dell’Erasmus.

Quella volta. Cioè una settimana fa.

Ti avevo appena rifilato uno dei miei soliti pippotti sulla tua inadeguatezza nelle cose pratiche, mentre caricavo la lavastoviglie.

Si è abbattuto uno dei 4 bicchieri da vino e Murphy, quello della legge, ha ovviamente deciso che fosse il tuo, non gli altri 3 del servizio che mi ha regalato mio fratello. Ho esclamato un Merda, pensando fosse uno degli altri tre.

Ma quando ho visto in terra tra i cocci la V di Valladolid insieme ad altre lettere spezzate incise nella trasparenza, il Merda si è trasformato in una sussurrata più grave esclamazione, che ti ha fatto capire subito qual era il bicchiere sacrificato.

Quanti bicchieri ho rotto in vita mia? Tantissimi.

Ma questa volta una scheggia di vetro si è conficcata nel cuore, mi si è gelato il sangue e subito dopo un’ondata di sudore.

L’inadeguatezza nelle cose pratiche.

Rompere un bicchiere non è un dramma.

Ma noi scemi di merda che non conosciamo il significato dei drammi, siamo più fragili di un bicchiere di vetro da pochi euro preso ad una sagra spagnola con i fratelli che non hai mai avuto in vita tua.

Sono fragile io che ho pianto come una cogliona per averti infranto un ricordo, sei fragile tu che hai raccolto i cocci a mani nude e piedi scalzi, incurante come lo sono i bimbi del pericolo di tagliarsi.

È fragile il tuo tenero odio verso di me, è fragile il mio essere una madre incapace di insegnarti che gli oggetti possono avere un potere evocativo apparentemente potente ma non sono altro che una sciocca rappresentazione tangibile di ciò che è privo di materia, un’emozione, un ricordo, un sentimento.

Il bicchiere non è l’esperienza vissuta, non è la vostra amicizia, non è la bevuta, la risata o il pianto che avete fatto insieme.

Il bicchiere è solo il veicolo che trasporta tutte queste belle cose che porterai dentro per sempre, sul piano della coscienza, quando lo guardi distrattamente passando davanti alla libreria sulla quale lo conservi a prendere polvere nella tua lurida camera.

Lui è fragile, il bicchiere.

Il tuo vissuto no, quello non può farsi rompere in mille pezzi da una madre maldestra intenta a fare pippotti sull’inadeguatezza nelle cose pratiche. 

Quella sera ho limato con impegno e la carta vetrata i bordi taglienti di ciò che è rimasto del bicchiere, ho sciolto a bagnomaria due candeline rosse Ikea profumate alla ciliegia, ho passato quei bordi nella cera e l’ho usata per trasformare i resti del gotto in una candela del cazzo, con tanto di stoppino.

Tu non ami particolarmente il vino, ma amavi quel bicchiere.

La verità è che so bene che non ami nemmeno le candele. 

Ma noi fragili siamo fatti così, vogliamo tenerci stretto qualunque oggetto sia in grado di rievocare un passato che ci ha resi felici.

E allora penso che quando guarderai quel bicchiere monco che è diventato una stupida candela, penserai a Valladolid, al tinto de verano bevuto coi tuoi fratelli, e perché no, a quella primadonna di tua mamma, che è riuscita ad entrare involontariamente ma prepotentemente in un ricordo nel quale non c’entrava un cazzo.

L’amore di una femmina, in qualunque forma esso sia tra quelle contemplate in letteratura, è un genio del male e pretende di essere ricordato.




giovedì 12 ottobre 2023

513097

 

Il codice per sbloccare il telefono quando la mia faccia stanca è più brutta del mio Face ID, è 513097.

È il numero di telefono fisso che avevano i Gozzi dal 1974 al 1991 nella grande casa di via imperiale 39/9, 16143 Genova, e se dovevi fare una telefonata urbana non c’era bisogno di fare lo zerodieci (e sì, la Telecom si chiamava SIP e Sip otevano mangiare anche le fragole).

Erano bei tempi, quelli.

Ci sono cose che non ho il coraggio di scrivere nemmeno qui, ma non perché si tratti di chissà quali segreti, io di segreti gustosi non ne ho più da anni.

Non le scrivo qui semplicemente  perché dopo averle pensate mi offendo per conto di chi si dovrebbe offendere se mai le leggesse.

Allora le scrivo sulla app note del telefono, mi offendo io e risparmio l’offesa a terzi, con tutte  le solite menate di belino che ne conseguono, tipo quella di dover chiedere scusa perché alla fine c’ho sempre torto io, anche quelle rare volte in cui sono partita con la ragione che mi esce perfino dal buco del culo.

Il mio grande problema è sempre stato quello di non saper argomentare adeguatamente.

Quando muoio, o piazzate il telefono davanti alla mia bella faccia prima che chiudano la bara, oppure digitate il numero di telefono della mia casa di infanzia 513097, senza prefisso e senza scatto alla risposta.

Telefonate a qualsiasi ora per parlare con quello che scrivevo nella app note quando ero ancora viva.

Troverete alcuni codici di accesso: banca, Amazon, Account di posta, Spid, Netflix, Trenitalia, Wind tre, basko, account social che ormai uso solo per farmi i cazzi degli altri, e qualche altra rumenta che richiede una user e una password.

Telefonate e troverete alcune liste della spesa per mia mamma, l’appunto dell’eventuale credito a suo favore che spesso si trasforma in cresta, qualche memo di lavoro e di vita, ricette, titoli di film e canzoni, e quelle robe che non ho il coraggio di pubblicare nemmeno in questo blog che nessuno legge.

Perché spesso sono incazzata, sì, e anche tanto.

E se vi offendete cazzoméne, tanto sono morta, non devo spiegare (male) perché ero incazzata e, soprattutto, non devo chiedere scusa a nessuno.


È facile e suona bene come un endecasillabo:

Cin-quan-tu-no-tren-ta-no-van-ta-set-te.

Che la app note vi sia lieve, adorabili pezzi di merda.

🌚

lunedì 2 ottobre 2023

Duel

Mi sembra come se dovessi inseguire qualcosa ma nessuno mi ha detto cosa.

E io corro corro corro corro corro e corro ma davvero, non so cosa cazzo sto inseguendo.

Si paleserà prima o poi, il cazzo che sto inseguendo.