lunedì 6 febbraio 2023

180 giorni e 180 notti


Alla fine è andato e io sto più o meno come avevo preventivato. Solo un filino peggio.

Qualcosa è sfuggito alle mie previsioni che credevo perfette, anche riguardo l’intensità della mancanza.

Stanotte, prima notte di circa 180 in cui non sentirò i rumori dalla sua camera.

Domani primo giorno di circa 180 in cui non litigherò per il suo disordine o per qualche sua noncuranza, non rientrerò dal lavoro trovando almeno un piatto da lavare e un suo bacino sulla guancia, non gli dirò “ciao non fare troppo tardi” quando esce, non ceneremo insieme in sala davanti a un episodio di una qualsiasi serie, non gli darò la rumenta da buttare o non gli farò portare su la spesa, non mi sentirò rompere i coglioni per le sigarette che fumo, non avrò davanti il suo faccino, non mi chiederà un grattino per poi mandarmi affanculo se gli metto le mani tra i ricci.

Sai cos’è? Non è tanto il fatto di non averlo più attaccato alla gonna, perché non è mai stato attaccato alla mia gonna, nemmeno quando era piccolo.

Poi figurati, io porto quasi sempre i pantaloni.

In realtà ognuno di noi conduce una vita molto indipendente e autonoma, io esco, lui entra, io torno, lui esce, io resto, lui torna.

È questa la nostra giostra da anni.

Come una danza dove le pause e gli accenti sono certe piccole abitudini domestiche che sanno solo di noi, attimi di riposo condiviso così sottili e a volte così brevi da essere quasi impercettibili, ma che per me assumono lo spessore immenso del rifugio reciproco, quando dopo un po’ l’indipendenza e l’autonomia stancano il corpo e la mente di entrambi.

Ecco questi 180 giorni e queste 180 notti sono le prove generali per prepararmi al momento in cui un’era durata una manciata di anni, giustamente e fortunatamente si concluderà.

Io chiedo perdono alle leggi della vita a cui bisogna attenersi, ma ci sono affezionata a questa era, mi fa stare bene, mi fa stare a mio agio, fra tutte forse è quella in cui mi sono sentita più al sicuro e più adeguata, e non ci posso fare un cazzo se mi dispiace che abbia un termine, cristoiddio.

So che se non avesse un termine, lui non potrebbe vivere un giorno tutte le sue ere che lo aspettano, so che quando le vivrà lo farà con qualche frammento di ciò che gli ho lasciato io nel corso delle precedenti ma soprattutto di questa.

Allora forse è questo il vero significato delle belle ere e il motivo per cui devono finire. Per permettere che si rinnovino e continuino nella vita di altre anime.

Le belle ere non sono mai del tutto nostre, sono di chi le eredita e poi di chi, a sua volta, le prenderà in eredità.

Tipo la nostra giostra: io esco, lui entra. 

Devo ricordarmela sempre ‘sta cosa.

È figa.

In 180 giorni e 180 notti, io avrò il tempo di imparare, sarà il mio personalissimo Erasmus a chilometro zero, fatto nella stessa casa dove ho vissuto per 24 anni e parlando la stessa lingua che parlo da 50, ma è tutto come se fosse un po’ diverso a partire da stanotte, la numero 1 di circa 180.

E mi farò trovare pronta quando dovrò affrontare la fine di quest’era e l’inizio di una nuova, forse più mia, ma con migliaia di suoi frammenti  conficcati dentro di me eternamente.

Solo che non mi aspettavo che questa prima notte di 180 potesse essere così cupa e solitaria.

Me l’aspettavo un po’ meglio.

Doveva essere un po’ meglio.

Ma è andata così, il mondo è un tipo irrazionale.

Buonanotte, amore mio.

E buonanotte a chi ha la luna maledetta.


Vivo, Andrea Laszlo De Simone 

sabato 4 febbraio 2023

Sail to the Moon



Queste 2 valigie sono la conseguenza di una sera dell’anno scorso in cui ha fatto irruzione in cucina mentre preparavo cena, ricordandosi che l’indomani sarebbe scaduto il bando per la borsa Erasmus.

Mi sono detta, dai diamogli una mano, tanto mica passa.

Siamo stati fino alle 23.47 a compilare moduli on line e a buttare scelte di destinazioni a caso, tanto mica passa.

Alle 23.48 il tasto invio e il pop up di conferma: “Richiesta inviata, tanto mica passa”.

Oh, è passato.

Hey Gibran! lo sai che ora sono anch’io “l’arco che lancia i figli verso il domani”?

Ma il percorso tra l’ammissione e il Domani, ha in mezzo un bel po’ di burocrazia piuttosto complessa e questo il buon Gibran mica ce lo dice.

Si è dunque manifestato in me uno strano fenomeno, credo di natura chimica, che ha miscelato la deformazione professionale a quella della mamma-elicottero sempre pronta al salvataggio, trasformandomi in un mostro abbastanza imbarazzante: l’Erasmus Planner.

L’Erasmus Planner è un mammifero che aiuta ad organizzare il perfezionamento delle pratiche e la partenza della prole (in genere lo fa solo con l’esemplare maschio) come fosse un congresso.

E così è stato.

Lui il cliente, il più difficile che abbia mai avuto, quello che oltretutto non paga le prestazioni, ma come in ogni congresso che si rispetti, il comitato promotore (io e il padre) ha avuto i suoi sponsor morali e materiali: nonna (che gli ha scritto anche Briefing del buon inquilino con tanto di ricette), grandi zii, amici, colleghi e i 2 genitorastri.

Insomma, questo individuo domani parte con un lavoro di mesi archiviato con cura quasi maniacale in uno dei  portalistini della Lilly color giallo canarino.

La  maggior parte della roba che ho ficcato lì dentro non gli servirà a un cazzo, probabilmente l’ho messa solo per soddisfare il malsano piacere masochista di offendermi a morte perché ovviamente quella roba non la guarderà neanche.

Così come il briefing della nonna.

Ma tant’è dovevamo farlo, perché siamo così, dolcemente complicate e quello che le donne non dicono, stai pur certo che lo scrivono. Che Gibran possa perdonarci.

Il cliente non parla ancora lo spagnolo ma vabbè, quello mica posso impararlo io per lui, no?

Io ci ho provato in questi mesi a fargli masticare la lingua con il metodo assai economico di metterlo davanti a tutte le stagioni di Narcos, ma stava imparando solo le parolacce, il testo della sigla Tuyo e le dinamiche del narcotraffico.

Che per carità, sempre cultura è, ma alla fine si è resa necessaria qualche lezione tradizionale con una vera insegnante madrelingua (muchas gracias, Adelaida!).

Ora che ‘sta freccia sa più o meno dire come si chiama, scusi dov’è il cesso e sa contare fino a 100 in spagnolo, è pronta al lancio con entusiasmo.

Ma l’arco un po’ meno.

Alla vigilia della sua partenza, dopo essermi concentrata per mesi solo sugli aspetti organizzativi e non sulle mie implicazioni emotive, dopo aver sostenuto con convinzione quanto fosse straordinaria questa opportunità e quanto io non vedessi l’ora che il mio Coinquilino di Merda portasse lontano da questa casa il suo disordine ai limiti del disagio mentale (che poi è la solita storia della 🍎 e l’🦚) ecco che da un po’ di giorni mi scopro con disgusto a provare quell’orribile sensazione tipica dell’Italian Mom perculata dall’intero spazio Schengen.

Freddata da una fastidiosa immagine di me che non mi aspettavo: mutilata, abbandonata e persa.

Mia sorella, che ci è già passata, mi dice di stare tranquilla, che passa in fretta e in quattro e quattr’otto lui mi tornerà indietro con la violenza di un boomerang in piena fronte non appena avrò iniziato ad apprezzare la quiete della sua assenza. 

Ma scherziamo, certo che me ne farò una gioiosa ragione. Il peggio è oggi, domani e magari un paio di giorni dopo, fa parte del contratto che mi hanno fatto firmare quando questo soggetto è venuto al mondo e io mi concedo il privilegio di godermi tutto questo peggio.

Mi concedo il privilegio di frignare di malinconia davanti a 2 valigie da 20 kg cad. come la tariffa low-cost comanda.

Non mi resta che dire vai sereno a fare il C.d.M. da un’altra parte, e poi i soliti mantra che recitano tutte le mamme, tipo copriti che là fa freddo, mangia, stai attento, studia e se puoi togli il blocco che mi hai messo su Instagram, ‘ché ogni tanto mi sarebbe caro venire a vedere cosa combini in questi 6 mesi.


Solo di due cose ho la certezza:

1. che da domani inizierà ad imparare ad abitare il suo Domani, e

2. che non mi sbloccherà mai su Instagram.


Adiós, mi chico hermoso 🖤🤟