martedì 31 agosto 2021

Simona

Ciao Simo,

Ieri sono stata a casa tua e poi al tuo Rosario.

C’erano delle cose che volevo raccontarti e avrei voluto telefonarti.

Ero lì e pensavo minchia appena la becco le dico sta cosa. Il pensiero, per quanto complesso o lungo sia, riesce a essere contenuto nell’ambito di una frazione di secondo, dopo il quale mi ricordavo ogni volta che tu in effetti c’eri ma eri quella nello scatolone di legno, pertanto non potevo telefonarti e se lo avessi fatto, avrebbe risposto Fabio. Alla fine cazzo ci puoi impazzire dietro a questo loop infinito e veloce di pensiero e consapevolezza.

Comunque, tu te ne stavi lì con un vestito a fiori, un foulard al collo, il viso tirato e truccato, le braccia magre e segnate dalle flebo e un paio di bigliettini teneri tra le mani. 

Avevi anche il ciuccio di Fili, tra le mani. 

Ecco lì ho pianto. Al ciuccio proprio non ce l’ho fatta. 

Sei mamma tutta, dalla testa ai piedi, ma vera mamma italiana doc intendo, di quelle che porterebbero il ciuccio all’occorrenza anche se il figlio ha 19 anni, ché non si sa mai che possa avere bisogno di conforto vedendoti lì distesa immobile. Quindi ci sta che ti mettessero il suo ciuccio in mano. Ho pensato che lo stesso identico ciuccio di gomma che apparteneva a Edo ce l’ho anche io. Ho pensato che devo dire a chi si occuperà di sistemare il mio corpo nello scatolone di mettere anche a me il ciuccio di Edo in mano, bella idea che mi hai dato. Te la copio.

Insomma, dicevo, tu c’eri. E il fatto che fossi lì come protagonista mi impedisce adesso di prendere il telefono e raccontarti come è andato il tuo Rosario.

È andato bene.

Appena entrata in casa ho beccato tua sorella davanti alla cucina. Il pensiero che viaggia alla velocità della luce stavolta è stato di dire Ciao Simo, perché per me lei eri tu. Ieri vi somigliavate nell’aspetto e nei modi più di quanto non vi siate mai assomigliate.

A casa tua c’era l’odore della tua morte. Ma tu non eri in quell’odore. Tu sei sempre profumata di buono e sai, il cervello è potente: con un po’ di concentrazione dopo  poco sono riuscita a non sentire la morte ma a sentire la Simo. Il tuo naso era lo stesso che quando sorridi si arriccia, solo che lì era leggermente più assottigliato e purtroppo non era arricciato dal sorriso. Le tue labbra erano sottili e lievemente screpolate ma a fianco, appoggiato dentro lo scatolone, c’era un burro di cacao che probabilmente ti mettono ogni tanto per ammorbidirle. 

Tu c’eri, ma non eri quella nello scatolone, eri tutta intorno a noi, ci ascoltavi, sorridevi anche col naso, mentre noi parlavamo, mentre noi piangevamo.

Ho parlato molto con la Guerrina, persino di congressi e tu c’eri, ascoltavi e magari intervenivi anche, ma noi non potevamo sentirti. Io ho giocato per un’ora con il tulle bianco che ti avevano steso addosso. Ma anche con il raso color crema che rivestiva il tuo scatolone di legno. Erano come le briciole con cui gioco quando sono a tavola. Parlavo e giochicchiavo strofinando i tessuti tra le dita.

Fabio mi ha raccontato i tuoi ultimi giorni, mi ha descritto con che grazia tu hai accompagnato lui e lui ha accompagnato te in questo difficile e prematuro passaggio. Pieni di Grazia. Non è un’espressione bellissima? (Grazie Germa).

Beh, è così che avete condotto la cosa voi. In grazia piena.

Poi siamo usciti per andare in chiesa. Tua madre prima di uscire ti ha riempita di baci sulla fronte. Ti diceva Ci vediamo dopo amore mio, eh? Ciao amore mio. 

Ti ho baciata anche io e la tua fronte era fredda.

Nel tragitto ho parlato con tua mamma.

Lei ha pianto, ha detto che questo dolore non lo augura a nessuno.

Ha ragione.

Una madre non dovrebbe mai assistere alla morte di un figlio. Mai. Questa cosa Dio dovrebbe un attimo annotarsela su un qualche taccuino. Proprio lui, che è morto davanti a sua mamma.

Ha detto che tu spesso hai fatto da mamma anche a lei, perché lei è una mamma un po’ bizzarra, proprio così ha detto. Io ho sorriso, questa cosa tu a me l’hai detta tante di quelle volte. Sentirla da lei mi ha fatto tenerezza.

Poi si è avvicinata una tipa strana, un po’ fuori di testa. Stavamo camminando verso la chiesa, lei era davanti a noi. Così dal nulla si è girata e si è presentata, ha detto il nome, io le ho detto il mio. Tua madre di nascosto ha sbuffato, io le ho chiesto se la conosce e lei ha detto che è una parente della cognata di boh? Forse tua o sua. Ha aggiunto: ma non ci siamo proprio.

Era veramente fuori come un culo Simo. Stavo per telefonarti e farmi dire da te chi poteva essere. 

Poco dopo l’ho vista esplodere in lacrime con tua sorella e le urlava “io non ho neanche fatto in tempo a conoscerla bene, mi ricordo solo i suoi occhi azzurri!” tua sorella scazzatissima non so cosa le abbia detto ma dal tono sbrigativo era chiaro che avrebbe voluto risponderle “e allora, gioia mia, cosa cazzo vieni a piangere da me”.

Che scenetta Simo, dovevi vederla.

Senza contare il fatto che i tuoi occhi non sono manco azzurri.

Vuoi sapere di Fili? Bello come il sole. Alto, prestante, un taglio di capelli che gli sta da dio, un sorriso dolce per tutti, un abbraccio caldo per tutti. Solo in chiesa era sulla panca curvo  e a forma di jonny greenwood alle tastiere, lo stato d’animo accartocciato su se stesso, ma alla luce del sole di fronte alle persone ha tenuto botta da vero ometto. 

Fabio mi ha confidato che Fili vorrebbe prendersi un anno sabbatico e non iniziare subito l’università. Non ti incazzare Simo. Non lo farà, ne sono certa. È solo il suo modo per sfogare il suo dolore con qualcosa che sappia di estremo. Ma non lo farà. Posto che se davvero desiderasse farlo, sai come la penso circa le decisioni dei nostri ragazzi. Ma ovviamente te non la prenderesti bene, quindi basta, stop, non parliamone più se no finisce che discutiamo, perché ‘tanto io, anche se hai ragione, devo sempre darti addosso.

Il prete, beh Simo, ti dico solo che forse era un po’ ciucco.

Eh oh. Pensavi di poter avere un prete in bolla al tuo Rosario? Mentre parlava a Fabio e a tua sorella, ha detto “Anvedi, come dite voi a Genova” e tua sorella lo ha subito ripreso con la sua bella cocina genovese (la stessa tua) “no, guardi che noi a Genova anvedi ce ne guardiamo bene dal dirlo. Eh.”

Usciti dalla chiesa tua mamma ha mugugnato pesante. Il prete non le è piaciuto per niente. Manco si è degnato di andarla a salutare. Tua sorella l’ha sedata dicendo che aveva salutato Fabio e Filippo. Comunque per me tua madre non aveva tutti i torti. Che cazzo, è la mamma e doveva andare a salutarla. 

Tuo padre sempre un po’ in disparte; io, non so perché, non sono riuscita ad andare a salutarlo. Gli sorridevo da lontano, ma lui sembrava altrove, in un’altra dimensione, sempre, chissà, magari ti stava cercando in un posto tutto suo della sua mente. 

Sono venuta via con la Guerrina. L’ho accompagnata a casa a Rivarolo. Brava persona. Brava organizzatrice di eventi: pensa che alle 19.30 ti ha tirato fuori dal cilindro l’organista per oggi, visto che Don “Anvedi” se ne è sbattuto il belino di cercarlo.

È andato bene Simo, c’era tanta gente, non oso immaginare oggi al funerale. 

Ah, forse oggi voglio fare la comunione dopo esattamente 25 anni che non la facevo. 31 agosto 1996 l’ultima volta.

La faccio così, sporca come sono. Chissenfrega.

Ci volevi tu per farmela fare.

Quanto sei amata Simo, quanto sei stimata.

Hai tutte le ragioni di esserne orgogliosa, perché hai dato tantissimo.

Pensa che mi ha scritto un messaggio bellissimo anche la Silvia comunista con cui ti eri scontrata per la questione di Multedo. 

Quanto vuoto che tutti dovremo colmare.

Vorrei telefonarti, dirti queste cose e poi farmi raccontare tutto di te, dove sei, cosa fai, come stai, se hai scoperto qualche segreto interessante sull’universo, o qualche ciatellamento che vedi dall’alto.

Sei in un posto bello, vero?

Dai, fatti sentire in qualche modo.

Batti un colpo sui nostri cuori, tu che hai sempre avuto il controllo su tutto, non può essere così difficile per te.

Noi per ora siamo sempre qui, tra il mare e i monti: i tuoi amici, la tua mamma e il tuo papà, la tua sorellina.

Il tuo Fabio, il tuo Filippo.

Fallo soprattutto per loro.

Batti un colpo su questi cuori pieni di amore per te e fai brillare ancora i loro occhi.

Sihì?

Ma certo, io so che lo farai.


lunedì 2 agosto 2021

Marimo



 Buonasera,

(È notte ma finché non decido che è ora di chiudere gli occhi per me è ancora sera.

La buonanotte è un saluto diverso da tutti gli altri. Non si può dire buonanotte e poi iniziare un discorso. È un saluto di commiato, se si dice buonanotte bisogna levarsi in fretta dal cazzo.)

Siamo ai primi di agosto, oggi il mio fratello maggiore compie gli anni (auguri Marchetto, anche se qui non li leggi ❤️ Sono il 7 e il 9 che moltiplicati insieme fanno 63, non saranno pani e pesci, ma vedi che se mi impegno bene i miracoli so farli anche io?).

Stasera sto pensando a 4 cose che riguardano questo periodo:

- la prima dose di vaccino appena fatta - e vabbè, ormai è fatta e non c’è molto altro da aggiungere

-  la mammografia che avrò tra due giorni

- l’anniversario fra tre.

Sulla mammografia non ho nulla da dire se non che fa parte di un difficile capitolo che porta il nome di una amica, a seconda del risultato potrò dire “ma perché anche a me?” o “perché solo a lei?”.

Entrambe le domande saranno dolorose, solo che la seconda mi permetterà di continuare a pensare alle solite cazzate quotidiane.

L’anniversario, 5 agosto 2015, data che ha stravolto in positivo tutta la mia vita e 5 agosto 2018, data che ha stravolto la mia natura e cambiato per sempre il mio DNA affettivo, facendo di me un mostrillo di ossessioni e paranoie. (Un po’ come quei folli di merda dicono del vaccino, che ti cambia il DNA, ma su questo argomento non avrei voluto aggiungere altro, perché alla fine un po’ ci credo).

Il 5 agosto come il 22 giugno, gli ossimori delle ricorrenze, due date e quattro motivi opposti che le rendono speciali.

Vita e morte, “vita” e “morte”.

La quarta cosa a cui sto pensando è che tra 10 giorni ricorre un altro anniversario: i 20 anni della mia maternità.

Quest’anno a lui vorrei regalare un Marimo, l’alga a forma di pallina che vive in un barattolo di vetro pieno d’acqua e che può campare anche cent’anni. Anche duecento, se gli gira.

Spero di trovarne uno che abbia più o meno la sua età.

Il Marimo di 2001 odissea nel barattolo.

Mi piace l’idea del Marimo perché è un piccolo essere vivente, perché è giapponese (e lui ama il Giappone), perché respira e fa le bolle e perché ogni tanto danza nel suo barattolo, poi si posa e si riposa.

Ma la cosa che trovo più significativa del Marimo è che ogni tanto va strizzato delicatamente per liberarlo dalle impurità che gli si accumulano addosso.

Desidero che il mio giovane ventenne impari a strizzarsi quando non ne può più, quando i pensieri si fanno velenosi, le preoccupazioni intossicano il corpo e le date belle diventano ossimori e si fanno offuscare dagli eventi meno belli.

In fondo in questo universo non siamo altro che tanti piccoli coglioni dai quali strizzar via le rotture, prima del tuffo per tornare nel barattolo della vita e riprendere a respirare, fare le bolle, danzare, finire sul fondo e riposare, fino alla prossima strizzata di una mano che sappia prendersi cura di noi.


Mi congedo, ora posso dire buonanotte.