sabato 14 giugno 2025

Dissezione anatomica di un pensiero

 ⚠️ Attenzione: questo post contiene immagini che potrebbero urtare la sensibilità di alcuni utenti, ma per fortuna gli utenti (sensibili e non) che cagano questo blog si sono defilati da tempo, pertanto le presunte sensibilità possono stare serene. 

Sono appena rientrata da Napoli dove ho fatto un cadaver lab per 28 ortopedici su quelli che in gergo si chiamano “specimen” o “preparati anatomici” (o nel nostro slang “i ragazzi”), che altro non sono che pezzi di corpo umano su cui degli individui chiamati “i discenti” si esercitano in tecniche chirurgiche o infiltrative o radiodiagnostiche, dissezionano, tagliano, cuciono, insomma: simulano e giocano.

Nello specifico ⚠️ l’immagine che urta la sensibilità è un Arm-Shoulder.


Il motivo per cui pubblico la foto non è per il gusto dell’orrido o per fare macabro sensazionalismo. O almeno, non in questo caso.

La pubblico con il cuore gonfio di uno strano mix di consapevolezza, senso nostalgico e gratitudine per ciò che siamo oggi e che un giorno non saremo più.

La pubblico in onore di ciò che siamo capaci di dare ma anche con la vergogna per ciò che siamo capaci di togliere.

Questo braccio arrivato congelato insieme ad altri “ragazzi” dagli Stati Uniti fino a Napoli per essere posizionato su un tavolo operatorio in modo così naturale, come se appartenesse ancora ad un corpo addormentato sul suo letto, sta per prestarsi alla scienza ortopedica.

Guardandolo non è certo facile immaginare che fino a pochissimo tempo fa ha accarezzato, ha salutato, ha abbracciato, ha tirato dei pattoni e ha mandato affanculo della gente.

Un tempo ha mandato messaggi, ha fatto sesso, ha cullato un bambino, ha indossato un anello o un bracciale, ha portato cibo alla bocca, ha brindato, ha pulito il culo e ha scritto cose.

Chi lo guarda inorridisce, dice bèhh che schifo, sente il suo odore ed emette il suono gutturale del conato di vomito. Qualcun altro scatta la foto che poi viene uazzappata a qualche conoscente per farsi bello con orrido divertimento (ammetto di averlo fatto in occasione di diversi cadlab, compreso questo).

Poi, dopo averlo guardato, schifato fotografato e uazzappato, come se niente fosse riprende a pensare ai cazzi della sua vita, al centro dell’attenzione solo di sé stesso e ignorando il fatto di non essere il centro del mondo di qualcun altro, perché anche quell’altro ha al centro del mondo, giustappunto, sé stesso.

Durante questo cadaver lab, non ho partecipato alla dissezione del braccio. Ma ho preso coscienza di una cosa importante che ritengo ugualmente Scienza.

Ho imparato che tutti noi siamo l’intero libro della nostra vita e al tempo stesso un semplice capitolo, più o meno lungo, della vita degli altri.

Ho pensato molto a come mi sono comportata in questi giorni, a cosa ho provato, a certe stonature che facevo finta di non sentire ma che percepivo così forti da spingermi a trovare una scusa qualunque per far detonare lo strano disagio che mi possedeva.

Ho quindi dissezionato strato per strato tutta la materia emotiva che si è liberata.

Il pensiero si è poi soffermato sull’immagine di quella elegante lacrima che ho visto scendere lentamente nel perfetto centro di una guancia e ho immaginato che fosse causata dalla stessa identica afflizione mista ad un filo di rabbia che stavo provando io: c’è qualcosa che non va nei nostri reciproci capitoli. Ed è stata quella lacrima così perfetta e unica a scatenare le mie che non scendono mai al centro ma si spantegano disordinatamente sui due lati del viso.

Ho infine capito che all’origine di tutto sto malessere interiore c’era il rifiuto di accettare che i capitoli bisogna saperli chiudere quando finiscono di raccontare una storia, quando certe connessioni così speciali e forti non riesci più a ricollegarle come un tempo. Perché il tempo, le esperienze e gli eventi cambiano le persone, ci cambiano tutti, in continuazione.

Ci impongono diverse priorità, ci evolvono su certi aspetti, ci fanno regredire su altri, ci illuminano verso nuovi punti di vista, e ne mettono in ombra altri, ci avvicinano a cose e ci allontanano da altre.

E non è una cosa brutta.

È una cosa semplicemente naturale, fisiologica.

Devi accettare che il tuo libro continui, perché è la tua vita, ma con nuovi capitoli che a loro volta, un giorno, lasceranno il posto ad altri.

Nello stesso tempo devi accettare di diventare il capitoletto chiuso di un libro che non è il tuo. 

Senza rancore, senza l’accanimento  di tenerli entrambi aperti, perché al momento (magari non definitivamente) non hanno più nulla a che fare con i libri su cui sono stati scritti.

Siamo tutti, da sempre, dei capitoli che hanno raccontato tante cose nei libri degli altri e che ad un certo punto devono essere messi a giacere in quella posizione lì, così naturale e abbandonata.

Proprio come questo braccio al servizio della scienza, e quando lo guardiamo in tutta la sua scioccante crudezza e drammaticità, non dovrebbe ⚠️ urtare le nostre ipocrite sensibilità di merda ma, al contrario, dovrebbe evocare cosa ha rappresentato quando era un tutt’uno con il resto del corpo e controllato da un cervello.

Che magari è stato pure più brillante e sensibile del nostro.