Quella volta. Cioè una settimana fa.
Ti avevo appena rifilato uno dei miei soliti pippotti sulla tua inadeguatezza nelle cose pratiche, mentre caricavo la lavastoviglie.
Si è abbattuto uno dei 4 bicchieri da vino e Murphy, quello della legge, ha ovviamente deciso che fosse il tuo, non gli altri 3 del servizio che mi ha regalato mio fratello. Ho esclamato un Merda, pensando fosse uno degli altri tre.
Ma quando ho visto in terra tra i cocci la V di Valladolid insieme ad altre lettere spezzate incise nella trasparenza, il Merda si è trasformato in una sussurrata più grave esclamazione, che ti ha fatto capire subito qual era il bicchiere sacrificato.
Quanti bicchieri ho rotto in vita mia? Tantissimi.
Ma questa volta una scheggia di vetro si è conficcata nel cuore, mi si è gelato il sangue e subito dopo un’ondata di sudore.
L’inadeguatezza nelle cose pratiche.
Rompere un bicchiere non è un dramma.
Ma noi scemi di merda che non conosciamo il significato dei drammi, siamo più fragili di un bicchiere di vetro da pochi euro preso ad una sagra spagnola con i fratelli che non hai mai avuto in vita tua.
Sono fragile io che ho pianto come una cogliona per averti infranto un ricordo, sei fragile tu che hai raccolto i cocci a mani nude e piedi scalzi, incurante come lo sono i bimbi del pericolo di tagliarsi.
È fragile il tuo tenero odio verso di me, è fragile il mio essere una madre incapace di insegnarti che gli oggetti possono avere un potere evocativo apparentemente potente ma non sono altro che una sciocca rappresentazione tangibile di ciò che è privo di materia, un’emozione, un ricordo, un sentimento.
Il bicchiere non è l’esperienza vissuta, non è la vostra amicizia, non è la bevuta, la risata o il pianto che avete fatto insieme.
Il bicchiere è solo il veicolo che trasporta tutte queste belle cose che porterai dentro per sempre, sul piano della coscienza, quando lo guardi distrattamente passando davanti alla libreria sulla quale lo conservi a prendere polvere nella tua lurida camera.
Lui è fragile, il bicchiere.
Il tuo vissuto no, quello non può farsi rompere in mille pezzi da una madre maldestra intenta a fare pippotti sull’inadeguatezza nelle cose pratiche.
Quella sera ho limato con impegno e la carta vetrata i bordi taglienti di ciò che è rimasto del bicchiere, ho sciolto a bagnomaria due candeline rosse Ikea profumate alla ciliegia, ho passato quei bordi nella cera e l’ho usata per trasformare i resti del gotto in una candela del cazzo, con tanto di stoppino.
Tu non ami particolarmente il vino, ma amavi quel bicchiere.
La verità è che so bene che non ami nemmeno le candele.
Ma noi fragili siamo fatti così, vogliamo tenerci stretto qualunque oggetto sia in grado di rievocare un passato che ci ha resi felici.
E allora penso che quando guarderai quel bicchiere monco che è diventato una stupida candela, penserai a Valladolid, al tinto de verano bevuto coi tuoi fratelli, e perché no, a quella primadonna di tua mamma, che è riuscita ad entrare involontariamente ma prepotentemente in un ricordo nel quale non c’entrava un cazzo.
L’amore di una femmina, in qualunque forma esso sia tra quelle contemplate in letteratura, è un genio del male e pretende di essere ricordato.