Ero qui sul divano presa dai miei soliti mille o duemila pensieri ordinati come quello schifo della mia scrivania (i problemi di condominio, qualche insofferenza generale, l’axillo gioioso e l’invexendo fastidioso del viaggio a Ibiza fra 4 giorni, i 50 anni fra 6 giorni, l’indecisione se mettermi o no lo smalto nelle unghie, la dichiarazione dei redditi, la morte, la voglia di mangiare qualcosa ma non so che cosa, la vita accelerata di Edo, l’esame di terza di Ale, il lavoro che boh, il Cazzoneso e robe così) (devo anche innaffiare le piante) e insomma ero qui svaccata in compagnia dei miei fumetti sulla testa quando mi parte improvvisamente dal nulla una visione che non c’entra un cazzo e buca rapidamente tutto il resto.
È l’immagine così nitida, seppure molto lontana, di un maggiolone azzurro metallizzato che verso la fine degli anni 90 sale borbottando su per Aggio, prima di arrivare a Creto. Dentro c’è una giovane coppia che ancora non conosce il bimbo che un giorno verrà, e torma con pacifica felicitàin una casetta mansardata situata in via In culo ai lupi, in mezzo al buio delle alture, con una videocassetta appena noleggiata giù in città da Videociack. È un tragitto tutto a curve così piacevole e confortante che somiglia di più all’inizio di una vacanza che a un rientro serale dal lavoro.
Nei mille o forse duemila pensieri che si azzuffavano con me sul divano, ne avevo apparentemente rimosso solo uno, e si è prepotentemente palesato sotto forma di maggiolone azzurro che sale su per Aggio, prima di arrivare a Creto, con dentro due tizi pacifici e una videocassetta.
Domani firmo il divorzio e per la prima volta in 7 anni mi viene da piangere.
Ma non è un pianto di pentimento o di ripensamento.
Non è un rimorso o un senso di fallimento.
Non è neanche di sollievo o di liberazione.
È un pianto dolce come piace a me.
Un pianto di gratitudine per ciò che ci siamo dati, per il figlio che ci siamo regalati e per quella pace che ci siamo guadagnati.
Con l’imminente avvento della nuova compagine societaria e della nuova dirigenza che affiancherà la vecchia, non credo che potrò durare ancora per molto, lì dentro.
L’incompatibilità con certi schemi di merda che ho conosciuto molto bene anni fa, e che pensavo di essermi lasciata alle spalle, si fa pressante, angosciante, nauseante, urticante.
Non ho più l’età, non ho più la docilità, non ho più la bontà, non ho più la viltà.
Non ho più il buonsenso, non ho più il buon gusto.
Non ho più la vergogna, non ho più la menzogna.
Non ho più la pazienza, non ho più l’accondiscendenza, non ho più la riverenza, non ho più l’obbedienza.
Mi prende il panico, mi prende il vomito, “the panic, the vomit, the panic, the vomit, God loves his children” e io sono una romantica monoteista che obbedisce, venera e bestemmia un solo dio, non voglio essere il bimbo amato da un manipolo di nuovi Dei che non mi servono a un cazzo, incapaci persino di quadrare il bilancio emotivo nell’ambito delle loro stesse divine vite.
Urgerebbe quindi che mi cercassi in fretta una finestra dalla quale scappare, prima che con un paio di colpi mi facciano fuori loro.