Cioè, veramente non è proprio quello che volevo raccontarti qui, mi è scappata la divagazione sulle sedie.
Mi è venuto in mente che ripresi anni fa a fumare per ridare un senso ad un posacenere sul quale da tanto tempo non si posava più la cenere. Mi faceva tenerezza.
E in effetti volevo parlarti di quanto mi piacciano i posti che un tempo erano affollati e poi li abbiamo abbandonati, tipo una spiaggia in inverno dove anni prima ho fatto il pic nic in una sera d’estate, o questa piattaforma dove non ci sono più le parole che tanto vorrei, o una casella di posta che non riceve più la posta, o la vecchia tovaglia verde da gioco di mio padre che non vede più le carte e le fiches da anni; il vespasiano di Brignole dove nessuno va più a pisciare, la scalinata di piazza piccapietra dove facevo le gare di sputi neri di liquirizia con la Ludo, l’ingresso della Stazione Principe dove non c’è più quella ragazza che aspetta l’arrivo di un treno con un bimbo in braccio che stringe tra le dita taccolente un orsetto di gomma, o quel vecchio vestito dove non entreranno mai più le mie forme; il bar di Sturla dove il jukebox non suona più in loop Wurhering Heights; la Madonna del Monte, dove non si vedono più le madonne, la neve degli anni in cui nevicava e la bottiglia vuota di Veuve Clicquot.
Di cose così, volevo parlarti.
Della mia nostalgite per i posti e gli oggetti insignificanti e abbandonati, appesi tra la vita e la morte: non vivono più ma non muoiono mai.
Ma non è nemmeno questo esattamente che volevo dirti stasera.
È sempre un brivido stare in bilico sulle gambe posteriori di una sedia e non sapere se l'equilibrio reggerà.
La prima volta che l'ho fatto senza tenermi al bordo del tavolo della sala, la sedia è scivolata indietro facendomi precipitare in terra, mi sono schiacciata un dito e la mamma mi ha sculacciata. Giorni dopo ho perso l’unghia.
Ricordo ancora quel dolore che dal dito mi ha spaccato il cuore prima ancora del cervello, ammesso che ci fosse.
Li deve essere nato il mio amore/odio per le sedie, anche se poi è stata la_sedia_del_diavolo a risvegliarli.
Hai ragione tu, le sedie sono stronze, ti fanno credere di darti sostegno, ma alla prima vera prova di equilibrio ti ritrovi col culo all’aria, il cuore attraversato dal dolore, una sculacciata senza senso e un’unghia nera che poi perderai.
Sto diventando ansiosa e paranoica esattamente come la mia amata sorella.
Con l’unica sottilissima differenza che io reagisco a questo disagio in maniera diametralmente opposta alla sua eterna ricerca spasmodica di mettersi in sicurezza, tanto da avere mille app sul telefono per tenere sotto stretto controllo qualsiasi parametro e abitudine della sua vita.
A me invece scatta solo la voglia irrefrenabile di drogarmi forte.
Io non ti conoscevo ma a furia di cercarti ti ho trovata.
È strano, gli amici cari del mio ragazzo, da quando è diventato grande, li ho sempre immaginati come fossero creature venute dal nulla, come se il destino li avesse piazzati li al suo fianco perché da loro lui prendesse qualcosa e perché lui restituisse loro qualcosa.
Li immagino improvvisamente intrecciati per caso alle sue radici, senza saper nulla delle loro, affinché crescano insieme nel breve tempo di un pezzettino di vita, il tempo del divertimento, delle cazzate, delle passioni e delle zingarate.
È un mistero per me il loro tempo insieme, lui me ne parla poco e io rispetto questo spazio che deve essere solo suo; l’unica cosa che conosco bene è la serenità che vedo nel suo volto quando rientra a casa, e tanto mi basta.
Uno di loro è il tuo primo figlio.
Il Vostro primo figlio.
Ti ho scovata su un social perché dovevo sapere chi sei, perché ho saputo dell’orribile tragedia che gli ha portato via suo padre, squarciando in una sera il suo sacrosanto tempo del divertimento delle cazzate e della spensieratezza, e quando ti ho vista e ti ho letta, improvvisamente il tuo ragazzo non era più la creatura venuta dal nulla.
Ho trovato la concretezza di un progetto d’amore infinito che lo ha forgiato, che lo ha nutrito, che lo ha cresciuto e che, bello come una divinità del mare, lo ha servito a mio figlio (che prima di allora un’onda non l’aveva mai cavalcata) su una tavola da surf.
Le mie preghiere non valgono un cazzo, io sono una che il Dio a volte lo bestemmia.
Ma stasera supplico questo mio povero Dio di aiutarti a non opporre resistenza al dolore incatenato dentro ma a lasciarlo andare dove deve. Come un’onda che si ingrossa e fa paura e tu il surf che riporterà i vostri figli verso una nuova riva.
Non posso fare altro che mandarti un virtuale abbraccio nel profondo del mio cuore, cara sconosciuta Angela.
Solo questo, dalla mamma di un amico del tuo ragazzo, venuta dal nulla.
L’altroieri invece, mentre ascoltavamo musica, abbiamo programmato il nostro matrimonio.
Si terrà il 19 gennaio 2026 alle ore 18:00.
La data ha un grande significato.
È la data in cui 10 anni prima due amanti sono stati beccati come due coglioni non so per bocca di chi (bocca che comunque ringrazio con tutto il mio cuore) e per un po’ siamo stati messi alla gogna.
Io di sicuro sono quella che ci ha fatto la più grande figura di merda: quella della troia infame, ma ormai non mi ricordo più come ci si sente ad essere una troia infame.
È acqua passata, una vergogna senza perdono alla quale mi sono piano piano rassegnata, fino a renderla col tempo un misero autoindulgente “e vabbè, a l’è anæta coscì”.
Per me sarà il secondo matrimonio e sì, lo voglio diverso. Lo voglio figo.
Mi piace come me lo hai proposto. Io, te, marcobella e la gaiotti come testimoni, qualcuno che officia a palazzo imperiale, nessun parente, nessun figlio che manco approverebbe, nessun regalo e io che finalmente vado dal parrucchiere e mi faccio mettere un nastro tra i capelli.
I fotografi siamo noi, che ci facciamo improbabili selfie coi cellulari.
La macchina parcheggiata a pagamento in piazza piccapietra e giù a piedi fino a piazza campetto, in un lunedì sera invernale qualunque, quei giorni alla Jep Gambardella in cui non si manifestano neanche gli spacciatori di popper.
Il viaggio di nozze negli Stati Uniti e Messico. Due sole tappe: Albuquerque e Sinaloa.
Comunque, dicevo: l’altroieri abbiamo programmato ‘sto cazzo di matrimonio, ma ciò che non mi sono sentita di dirti, nonostante avessi sufficienti molecole in corpo che producono l’ormone della sincerità, è:
chissà se sarò ancora viva.
Perché io sono fatta così, penso alla morte costantemente e quotidianamente.
Non che la desideri, anzi.
Ma la sua minaccia mi tiene dolce compagnia quando mi vengono gli attacchi di paura.
È come se pensando alla mia morte, allontanassi la paranoia di dover vivere la morte altrui o la paura di diventare un peso insopportabile, problematico e odioso per chi sarà costretto a prendersi cura di me.
Ma tu questo come cazzo fai a capirlo, mio bel cacciatore di benessere dei miei coglioni che ti cachi sotto anche al solo pensiero di venire qui a leggere un paio di stronzate.
Amore, morte, gelosia, corna, malattia, paura, e cose così.
Come potevo dirti che mentre programmavamo allegramente la data del nostro matrimonio, nella mia testa questi pensieri facevano orribili festini?
Mentre parlavamo per distrarmi dai festini, ho messo la data sul calendario del cellulare con la sveglia.
Tu hai detto: ma io me lo ricordo, non ho bisogno di segnarmelo.
Anche io me lo ricordo, per chi mi hai preso, stupido coglione che non sei altro.
Però me lo sono segnato lo stesso.
Solo per il piacere di sentire una notifica sonora alle 18:00 del 19 gennaio 2026, quando tu sarai di terzo turno e tra una nave e l’altra ti sparerai il 39 millesimo livello di homescapes, e io sul treno, di ritorno dal lavoro, dirò fra me e me:
Toh, oggi avremmo dovuto sposarci, ma di lunedì i parrucchieri sono chiusi, ho i capelli di merda e non posso venire.
Oggi 2 maggio 2024 mi sono presa una giornata ferie.
Ed è andata molto bene fin dal risveglio.
Infatti, non dico che ero depressa, ero solo triste.
Non dico che ero psicopatica, ero solo maleducata e aggressiva.
Non dico che ero in piena crisi isterica, ero solo arrabbiata.
Non dico che ero affetta da ossessioni, ero solo preoccupata e pensierosa.
Non dico che avevo attacchi di panico o di ansia, ero solo spaventata.
Non dico che soffrivo di un disturbo dell’attenzione, dico che non me ne fregava un cazzo di tutto.
Non dico che ero abulica, ero solo in ferie e non ho fatto altro che frignare.
È andata molto bene perché non avevo nessuna patologia psichica, ero solo in piena turbolenza dell’anima, o per meglio dire, ero pregna di emozioni di merda.